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Un libro sul comodino

Prima o poi sul mio comodino un libro doveva pur finirci? Questo qui, però, ci è rimasto giusto un paio di giorni perché l’ho letto tutto di un fiato. Uno di quelli che inizi la sera e lo posi solo quando gli occhi non riescono più a stare aperti, ma lo porti con te nei tuoi sogni di cui diventa la colonna portante. “Pane&Malavita. La galera – Istruzioni per l’uso” è una sorta di diario di bordo dove Claudio Bottan ci racconta la sua esperienza di detenuto, il carcere con le sue regole non scritte, i suoi protagonisti, quelli al di qua e al di là delle sbarre, spesso in contrasto come guelfi e ghibellini. Ma Bottan non ti accompagna in quel mondo solo per fartelo conoscere, ma soprattutto per farlo cambiare. Perché ci sono leggi non applicate, semplici soluzioni di buon senso non prese, regole desuete, incongruenze e abitudini che portano i detenuti a sprofondare nel vortice di una pena che non diventa riabilitativa, ma svilente. Nelle carceri ci sono comunque delle persone, molte hanno sbagliato – ogni tanto a sbagliare capita siano stati i giudici – questo è innegabile, ma ogni essere umano ha diritto alla dignità. Nonostante una pena ingiusta, durata cinque anni, senza sconti perché in carcere le “lotte per i diritti”, gli scioperi della fame e le battaglie per i propri interessi si pagano care, Bottan vede in questa esperienza un’occasione per ricominciare, per ritrovare il senso della vita che forse aveva perso inseguendo i soldi e le soddisfazioni materiali. L’autore apre il libro con un glossario del carcere, perché in quello mondo ti ci vuole fare entrare un po’ dentro, perché bisogna essere lì per capire certe dinamiche, per vivere certe e sensazioni. La mancanza di spazi privati, l’escamotage della radio con le cuffie per isolarsi, la scelta del terzo letto a castello che è il  più alto a cinquanta centimetri dal soffitto, ma che ti permette di non sentire gli odori sgradevoli, la paura, la convivenza con gli altri “concellini”. Il carcere è come una caserma, si sopravvive solo adeguandosi alle regole e alle leggi che però sono non scritte, ed è meglio impararle subito. Bottan in carcere si era ritagliato il suo spazio grazie alla capacità di scrivere, perché la cultura lì è un’arma. Si può essere d’aiuto a tanti che non sanno leggere, non sanno scrivere, non conoscono la lingua visto che ogni richiesta, ogni domanda, ogni speranza di un minimo aiuto passa attraverso le famose “domandine” che i detenuti devono scrivere rigorosamente a mano. E così Bottan ha cominciato a scrivere e non ha più smesso neanche una volta fuori. Ha iniziato con il giornale VoceLibera del carcere di Busto Arsizio, poi ci ha regalato questo libro e adesso lavora nella redazione di un importante gruppo editoriale. Che dire Claudio? Grazie per questo piccolo capolavoro e “buona”.

A presto!
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