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E’ solo l’inizio

“E’ solo l’inizio” è un racconto a cui tengo molto, pubblicato recentemente sulla rivista Di Tutto, e che vi ripropongo qui.

Il caldo afoso si arrampicava e attecchiva su ogni cosa come l’edera sulle vecchie cascine di campagna. La strada era deserta e solo la loro macchina sfidava la calura estiva fendendo l’aria rarefatta e arroventata. Nessuno dei due aveva detto una parola per tutto il tragitto. Il silenzio era più pungente dell’aria condizionata talmente forte da rendere l’abitacolo quasi inospitale. L’asfalto tremolava, mentre l’interno della macchina sembrava graffiato da una leggera brina. Alessia avrebbe voluto che il tragitto durasse all’infinito, ma nello stesso tempo voleva che quella astiosa attesa finisse al più presto. Lo sguardo le cadde sul pacchetto di sigarette di Fabio appoggiato sul cruscotto: Philip Morris gialle… da quel giorno ogni volta che avesse visto quella marca il pensiero sarebbe volato a lui, ne era certa.

Le mani nervose e asciutte di Fabio guidavano sicure, Alessia avrebbe voluto prendergliele e stringerle forte e più volte indugiò, ma alla fine desistette. Un solo gesto, così semplice, ma tuttavia così intimo le avrebbe reso impossibile il distacco. La macchina si fermò nello spiazzo desolato e ostile della stazione. Le 14.30. C’era ancora tempo. Ma tempo per cosa? Per parlare? Per dirsi addio? Per capire che cosa c’era stato tra loro? Per trovare una via d’uscita da quell’amore senza futuro?

Scesero dalla macchina sempre in silenzio. Il rumore dei passi echeggiava in quel nulla post atomico, tra polvere e brandelli della loro carne arsa dal dolore e dal caldo. La loro storia era stata come una bomba, a lungo avevano cercato di non innescarla, ma una volta tirata la miccia l’esplosione aveva originato un grande fuoco che, però, dietro aveva lasciato solo detriti e feriti: in primis loro due, poi la fidanzata di lui che ignara di tutto avrebbe pagato sulla sua pelle per tutta la vita gli effetti devastanti che quelle radiazioni avevano lasciato su Fabio, sull’aria che avrebbe respirato da allora e per sempre. Per Alessia era diverso, sarebbe partita, allontanandosi da quei luoghi che però avevano disegnato un tatuaggio indelebile  nella sua mente.

Anche la biglietteria era chiusa sembrava che nessuno osasse affrontare quella calura ed essere testimone di quella separazione ineluttabile. Fecero il biglietto alla macchinetta che sul display segnò senza pudore la destinazione: Roma. Quel viaggio che sino ad allora sembrava quasi una allucinazione della mente, improvvisamente divenne reale e crudelmente beffardo. Presero un caffè al bar. Uno svogliato cameriere portò le tazzine al tavolo senza neanche emettere un suono. Forse anche lui aveva capito che in quel momento le parole erano fuori luogo. Infine dopo un tempo indecifrabile tra un secondo e l’eternità arrivarono al binario.

“Allora io vado” disse Fabio.

Alessia sapeva – anche se ci aveva sperato sino a quel momento – che lui non avrebbe atteso l’arrivo del treno.

“Grazie per il passaggio”.

“Figurati … Beh… Allora ciao. Mi raccomando abbi cura di te”.

Ecco, era ufficiale, adesso Alessia lo odiava; neanche un’adolescente in piena crisi puberale e con l’acne si sarebbe defilato così. Ma ormai aveva imparato a non chiedere più di quanto non le si volesse dare, l’aspettativa era una parentesi aperta nella sua vita che nessuno chiudeva mai e che l’aveva più volte lasciata delusa e sospesa.

“Quindi è un addio?” ebbe il coraggio di replicare.

“Non essere sciocca, questo è solo l’inizio” e con questa frase sibillina si allontanò per sempre, in una nuvola di fumo di Philp Morris gialle, con i lunghi capelli imprigionati in un codino che voleva far sembrare -almeno esteriormente – ordinata una testa che sotto era un groviglio di pensieri e sensazioni che si agitavano tra le anse della mente e che scardinavano un cuore apparentemente blindato.

Quella frase era, e sarebbe rimasta, un rebus irrisolto nella vita di Alessia.

Appena lo vide sparire si sentì aggredita dal panico: una sensazione di paura, mista a dolore e impotenza aveva posto il suo vessillo sul petto di Alessia.

Senza quasi rendersene conto prese il cellulare e digitò.

“Sei ancora qui? Torna da me, adesso come faccio?”

Bip bip, il suono della sua risposta arrivò più veloce e potente di un bolide.

“Sono in macchina, ma non riesco a mettere in moto. Ma devo andare, dobbiamo andare, questo non è il nostro tempo”.

“Ci rivedremo ancora?”. Alessia aveva dannatamente bisogno di risposte, di conferme, da sempre, ma adesso con Fabio più che mai.

“No, non ci rivedremo più, ma saremo per sempre inseparabili. Siamo come l’alba e il tramonto, le due facce dello stesso sole. Indissolubili, necessarie l’una all’altra, ma destinate a non incontrarsi mai. Ad ogni alba, ad ogni  tramonto penserò a te e saprò che nello stesso istante lo stesso sole ti illuminerà e che sei e sarai sempre l’altro lato della mia medaglia. Divisi, ma uniti e completi solo insieme”.

Alessia non trovò le forze per rispondere. Il sole, afoso sino a poco fa, ora non la scaldava più, anzi cominciava ad avere freddo. Il treno arrivò con una puntualità tanto fastidiosa quanto inusuale, Alessia pianse ininterrottamente per tutto il viaggio. Ma quando il tramonto la colse di sorpresa per le strade di Roma un impercettibile sorriso incrinò la tristezza del suo sguardo.

A presto!
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